All'improvviso, non va tutto bene
Quasi un anno di Covid-19: condivisione del dolore che non ci è concesso esprimere.
Ex Abrupto - All’improvviso, come tutto quello che conta
A cura di Alessia Pizzi
N.4 - 20 Gennaio 2021
Come va? Tutto bene.
Tra poco sarà trascorso quasi un anno dall’arrivo della Pandemia. Lo tsunami che ha travolto il mondo col nome di Covid-19.
Tutti intorno a me tacciono, mi chiedo come stiano. Io non sto molto bene.
Praticamente lavoro e basta, perché quando stacco, alle 18, non posso nemmeno bere una cosa con gli amici. E chi abita a Roma lo sa: il primo amico di solito abita a due km se ci dice bene.
È buio, fa freddo e piove anche il weekend. Il gennaio più triste di sempre, con i centri commerciali chiusi il fine settimana e nessun saldo da sfoggiare a qualche cena.
L’amore, poi, solo per privilegiati (?) che vivono insieme. Perché anche vivere insieme immagino non sia più troppo piacevole, visto che non si può fare altro: a volte si deve stare stretti in pochi metri quadri, magari in smart working. Andare a lavoro ormai è l’ultima gioia che ci è rimasta. E ho detto tutto.
Poi ci sono quelli che vivono separati, ma vicini, e penso se la riescano a giostrare.
Le altre coppie sono divise dai colori di Arlecchino, altre ancora esistono solo nei sogni di chi si chiede quando tutto questo finirà.
Questo cosa?
Già, perché a volte ho come l’impressione che questo ripiegamento crepuscolare, questo celare il malessere, questo dover fingere sia tutto normale sia una sorta di assuefazione alla condizione.
Quale condizione?
Girando sui Social Networks sembra quasi tutto normale. Qualche battuta o sclero sulla politica, sulle mascherine, qualche preghiera di ringraziamento, qualche riflessione su quanto il Covid-19 ci abbia fatto bene per capire i veri valori della vita.
Eppure, cos’è cambiato? Abbiamo fatto passi avanti? Passiamo il weekend da soli a pensare che un tempo eravamo. Che quell’eravamo va tutelato, va conservato con tutte le nostre forze… e dunque fingiamo.
Fingiamo che le questioni lavorative siano molto importanti, mentre sfreccia il numero dei malati al TG, ordinaria amministrazione meritevole di un’esclamazione preoccupata - mamma mia - o scocciata - che palleee.
E siamo pure quelli fortunati. Quelli che sono ancora qui a raccontare, a fare, a sognare. Aggrappati con le unghie a ciò che eravamo e che non sappiamo quando saremo ancora.
L’abbraccio è così lontano, come anche il calore. Circola ancora, coraggiosa, qualche frase di circostanza.
Come sono andate le feste?
Le feste… ma chi le ha viste. Chiusi in casa a guardare la pioggia che scende sull’atomo opaco del male. L’essere umano si abitua a tutto, quindi. Nessuno piange, soffre, si lamenta pubblicamente. Come se non fosse concesso. Come se solo il fatto di essere qui e avere questo tempo fosse prezioso. E lo è, senza alcun dubbio. Ma quindi non è concepibile pensare di condividere il dolore e il malessere solo per esorcizzarli?
Condividere per superare. Senza che sia solo bello o solo brutto, ma solo perché è e non dovremmo fingere che non sia così.
Penso agli anziani chiusi in casa, in pensione. Penso ai disabili che non possono ricevere più il supporto di prima. E poi penso a noi, che ci sentiamo aridi e che siamo pronti a ridefinire le nostre priorità di vita. A compiere quelle scelte che non siamo mai riusciti a prendere. A fare quel viaggio “che prima o poi ci vado”. A dire quello che non ci piace più della nostra vita, Covid-19 o non Covid-19.
Ci è stato concesso un tempo “extra” che non avremo più. Uno specchio per guardare il nostro riflesso e capire se è quello che vogliamo davvero essere e se vogliamo impiegare il nostro tempo come lo stiamo impiegando. Nessun tran tran ci porta via dai nostri disagi esistenziali. Nessun impegno ci distrae. Nemmeno le serie tv ci salvano più: abbiamo finito tutti e cataloghi streaming e siamo stanchi di vivere le emozioni attraverso un schermo.
Eppure, vige un silenzio quasi religioso. Come se ormai avessi capito che è anche inutile dire di stare male. Sarà davvero così? Non sarà che il dolore è un tabù?
Nel frattempo, ci ha pensato la pioggia a piangere per tutti noi: la leggo così. Sono tutte le lacrime che abbiamo ingoiato in nome dell’andrà tutto bene.